Il pugilato è uno sport amato, perché storicamente importante, perché è un mix di passione e sudore, di fatica e di impegno. Ma è anche sport contestato, perché fa gioco a molti cancellarlo dai libri, dai palinsesti televisivi, dalle competizioni sportive più o meno importanti, perché considerato violento, senza rendersi conto del fatto che c’è più rabbia su un campo di calcio che su un ring.
Tralasciando la violenza sugli spalti, quante volte avete visto “darsele di santa ragione”, al termine di una partita, giocatori di due squadre deluse dal risultato? E quanti arbitri sono stati malmenati in campo dagli stessi giocatori? E negli spogliatoi? Ricordate la vicenda Ferrigno-Bortolotti e gli strascichi e le polemiche e le procedure avvocatizie? E quante volte, al contrario, avete osservato, al termine di un match di pugilato, i contendenti abbracciarsi tra loro?
Se non ci fosse la storia, la leggenda, i “soliti noti” avrebbero già cancellato la boxe dal panorama sportivo mondiale. Forse sarebbe il caso che si “rifacessero gli occhi”, magari leggendo e cercando di scoprire cosa si nasconde dietro un paradenti, un paio di calzoncini, due guantoni e due cuori che si battono per dimostrare chi è il più forte. Su un ring, non in mezzo al traffico, sul luogo di lavoro o in famiglia.
Il pugilato ha origini che risalgono all’antichità: iniziò a far parte del programma olimpico nel 668 a.C. e la letteratura tramanda i nomi dei vincitori delle Olimpiadi su un arco di tempo di oltre un millennio. Non erano previste categorie di peso e, per questo motivo, la disciplina, a livello agonistico elevato, era riservata a soggetti di taglia notevole. Il pugilato era presente anche nella Roma antica. Il combattimento terminava con la resa di uno dei due contendenti; le ferite gravi (e a volte anche la morte) erano accettate, non essendo dovute a malvagità, ma semplicemente alla superiorità tecnica e atletica.
Bisogna giungere al 1719 per vedere nascere a Londra una scuola moderna di pugilato. Nello stesso anno, un certo James Figg si autodichiarò campione di boxe, avendo vinto 15 combattimenti e non trovando nessun avversario che avesse il coraggio di sfidarlo. Figg era un “armadio”: aveva un corpo di atleta, era alto 1.84 cm e pesava 84 kg. Al tempo, non si parlava di boxe ma di "nobile arte della difesa". Non esistevano regole di combattimento e i pugilatori lottavano a mani nude.
Il successore sul trono di Figg, un certo Jack Broughton, propose nel 1743 un codice di regole che includevano l'individuazione di un ring delimitato da corde, la presenza di due secondi che potessero assistere il pugilatore, l'identificazione di un arbitro per il giudizio e di un altro arbitro che controllasse il tempo. Inoltre, venivano indicati i colpi vietati: quelli portati con la testa, coi piedi e le ginocchia e quelli sotto la cintura. Era inoltre prevista la sospensione dell'incontro per 30 secondi, quando uno o entrambi i pugilatori erano a terra; trascorsi i 30 secondi, si contavano 8 secondi: chi non era in grado di riprendere era sconfitto. Non vi era, però, limite alla durata dei combattimenti. Era regola che si facessero scommesse e gli stessi pugili scommettevano su se stessi.
Nel 1825 si svolse il primo incontro tra un campione britannico, Sayer, e un campione americano, Heenan. Finì dopo 42 riprese, con un'invasione di campo da parte della folla, la fuga dell'arbitro e un verdetto di parità che calmò parzialmente gli animi degli spettatori. L'ambiente delle scommesse avvelenava progressivamente il pugilato e i verdetti risentivano della mancanza di regole certe, cui gli arbitri potessero rifarsi. Furono quindi scritte regole, per merito soprattutto del marchese di Queensberry, che aprirono la porta al pugilato moderno.
Venivano introdotte tre categorie di pesi (massimi, medi e leggeri); veniva stabilito il conteggio dei 10 secondi per il KO e l'obbligo per l'altro pugile di allontanarsi, senza colpire il pugile caduto, anche se questo aveva solo un ginocchio a terra. Erano obbligatori guanti nuovi. La durata delle riprese era fissata in 3 minuti, con un intervallo di 1 minuto; rimaneva fluttuante il numero delle riprese che veniva lasciato alla contrattazione tra i pugili. Tuttavia, era facoltà dell'arbitro prolungare l'incontro sino a che non fosse manifesta l'inferiorità di uno dei due contendenti. Rimaneva quindi il concetto che il perdente era colui che soccombe, soluzione molto prossima a quella del KO.
Intervista a Nunzia Patti, allenatrice di boxe
Abbiamo intervistato un’allenatrice di pugilato a testimonianza di questo “mondo’’
“Come hai iniziato a fare la boxe?’’
N: Seguivo mio fratello che faceva già boxe, ma in palestra non c’erano donne. Un giorno incontrai il mio maestro in un negozio di articoli sportivi e gli chiesi di potermi allenare nella sua palestra, l’ “Excelsior boxe” di Marcianise; lui acconsentì e il 4 gennaio del 2016 ho iniziato a combattere.
“Avevi paura prima di un incontro?’’
N: Nessuna paura: sapevo di essermi allenata bene. Avevo solo l'adrenalina a mille e tanta voglia di vincere.
“Quanti incontri hai fatto e quanti ne hai vinti?’’
N: Ne ho fatti tanti, di preciso non ricordo… ma circa 60: il 90% li ho vinti.
“Com’è la boxe dal punto di vista delle donne?’’
N: Credo che non sia molto diversa dal punto di vista degli uomini... chi fa questo sport ha qualcosa dentro che non si può spiegare... voglia di riscatto, voglia di sfogare qualsiasi sentimento. Molte donne si avvicinano per imparare magari a difendersi e per non sentirsi inferiori a nessuno e poi se ne innamorano.
“Vuoi dare un consiglio a chi vuole iniziare o a chi ha paura di farlo?’’
N: Voglio dire che la boxe, al contrario di quello che pensa la maggior parte delle persone, non è uno sport violento anzi... insegna il rispetto, le regole e tanti altri valori; e poi è un ottimo antistress.
“Che titoli hai vinto?’’
N: 3 Campionati italiani assoluti categoria 64 kg e 5 Guanti d'oro in varie categorie di peso e poi altri 4 Campionati italiani da youth e da junior.
“Puoi descrivere la soddisfazione dopo una vittoria?’’
N: Credo sia impossibile descriverlo a parole... felicità assoluta.
“Cosa ti ha dato il pugilato?’’
N: Tanto... e magari avrei potuto ancora ricevere e dare. Soprattutto mi ha dato un lavoro... infatti, grazie al pugilato, sono entrata nel gruppo sportivo del Corpo Forestale.
“Cosa ti ha fatto decidere di diventare allenatrice?’’
N: La passione per questo sport: anche se non combatto più, le “16 corde" chiamano sempre... la boxe mi scorre nelle vene, non potrei mai farne a meno. E, poi, la voglia di trasmettere la mia passione e quello che hanno insegnato a me.
Davide Ciuffoletti
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